Medicina: studio Telethon-S.Raffaele fa luce su cause rene policistico

Chiarito ruolo proteina chiave, senza si deformano i tubi della rete idrica dell'organo 

Milano, 24 ott. (Adnkronos Salute) - Nuova luce sui meccanismi molecolari alla base di una delle malattie genetiche più diffuse, il rene policistico autosomico dominante, che solo in Italia colpisce 60 mila persone. Uno studio italiano pubblicato su 'Nature Communications', firmato dal gruppo di ricerca dell'Istituto Telethon Dulbecco guidato da Alessandra Boletta presso la Divisione di genetica e biologia cellulare dell'Irccs San Raffaele di Milano, spiega come si formano le cisti nei reni colpiti dalla malattia, ancora misteriosa e orfana di una cura efficace. Nel tempo, infatti, i pazienti vanno incontro a insufficienza renale e sono quindi costretti alla dialisi o al trapianto. Ora gli scienziati hanno capito il problema di fondo: c'è una proteina che ha un ruolo chiave nello sviluppo della 'rete idrica' del rene, e in sua assenza i tubi di questa rete si deformano.

Alla base della malattia, caratterizzata dalla progressiva formazione di veri e propri 'palloncini' ripieni di liquido che danneggiano progressivamente il rene - ricordano gli esperti di via Olgettina - ci sono difetti in due geni, Pkd1 e Pkd2, che contengono le informazioni per altrettante proteine chiamate policistina 1 e 2. Nell'85% dei pazienti il difetto genetico riguarda Pkd1. "Nonostante siano passati quasi 20 anni dall'identificazione dei due geni - sottolinea Boletta - non siamo ancora riusciti a capire esattamente perché l'assenza della policistina 1 porti alla formazione delle cisti. Dopo il giustificato entusiasmo iniziale, ci siamo resi conto che ci trovavamo di fronte a una proteina molto grossa e poco abbondante, quindi difficile da studiare in laboratorio".

Pkd1, infatti, non si trova all'interno della cellula ma sulla membrana esterna, che attraversa 11 volte a mo' di serpentina: "Questo la rende difficile da manipolare", precisa l'esperta. Negli ultimi anni, però, i ricercatori sono riusciti a sviluppare modelli cellulari e animali della malattia e a cominciare a mettere insieme alcuni tasselli del puzzle. In particolare, l'ipotesi più condivisa è che le due policistine siano importanti per il corretto sviluppo dei tubuli renali, le strutture responsabili della raccolta dell'urina man mano che si forma. (segue)

(Adnkronos Salute) - "In questo studio - riassume Maddalena Castelli, primo autore del lavoro - abbiamo dimostrato in un modello animale privo di Pkd1 come la mancanza di una versione funzionale di questa proteina impedisca una corretta formazione dei tubuli renali, che si presentano con un diametro maggiore del normale. Questo suggerisce che la policistina 1 potrebbe avere questo ruolo, ma dobbiamo ancora stabilire con certezza se la dilatazione dei tubuli renali possa effettivamente contribuire alla formazione delle cisti. In questo lavoro abbiamo però dimostrato che la policistina svolge questa funzione grazie alla sua capacità di regolare la polarità cellulare, ovvero la capacità delle cellule di orientarsi nello spazio".

Comprendere le basi molecolari di una malattia è un percorso un lungo, fatto di piccoli passi e a volte anche di ripensamenti. "Ma è soltanto così - assicura Boletta - che possiamo individuare una cura mirata, che ancora non esiste. Il rene policistico - continua - è una malattia che esordisce tardivamente e progredisce lentamente, quindi basterebbe trovare il modo di rallentare la formazione delle cisti e la loro tendenza a espandersi invadendo il tessuto circostante. Se riusciamo a neutralizzarne l'impatto sul resto del rene, per esempio riducendone la capacità di produrre fluido e di ingrossarsi, i pazienti potrebbero conviverci senza un impatto dannoso sulla loro qualità di vita. Ma per farlo dobbiamo capire esattamente quali sono i meccanismi intaccati dal difetto genetico. Questo potrebbe portare a disegnare terapie molto mirate e pertanto efficaci. La mancanza di queste fondamentali conoscenze potrebbe stare alla base del fallimento di alcuni approcci terapeutici finora testati", conclude la scienziata.

 


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