Salute: artrite reumatoide, per 1 italiano su 3 malattia impatta sul lavoro

Voltan (Anmar), per paura di perderlo pochi ne parlano a colleghi o capo 

Madrid, 11 giu. (Adnkronos Salute) - "Perdere il lavoro o non essere più in grado di farlo agli stessi ritmi di prima è una paura costante per le persone alle prese con l'artrite reumatoide: negli anni abbiamo raccolto testimonianze allucinanti e storie di disperazione. E se più di una persona è stata costretta a licenziarsi, ancora oggi sono in pochi quelli che, oltretutto in un momento di crisi economica, si decidono a parlare dei loro problemi con il capo e i colleghi". Lo assicura Gabriella Voltan, presidente Anmar (Associazione nazionale malattie reumatiche), commentando i dati relativi all'Italia di un'indagine su oltre 10 mila persone in 42 Paesi, presentata oggi a Madrid in vista dell'Eular 2013. Secondo lo studio, che ha coinvolto 423 pazienti italiani, la malattia ha avuto un impatto negativo sul lavoro in almeno un caso su tre.

"Il timore, anche il mio dopo la diagnosi - confida Voltan - è quello di non poter reggere i ritmi di prima e di finire per essere tagliati fuori. Quello che bisogna sottolineare è che queste persone, afflitte da dolori articolari, hanno la testa che funziona a mille: a volte basterebbe modificare la mansione perché continuino ad essere produttive. Ma troppo spesso non si parla con il capo dei propri problemi, per paura di essere tagliati fuori", dice Voltan, la cui associazione riunisce 12 mila iscritti. Se dall'indagine emerge che il 76% degli intervistati ritiene la propria malattia sotto controllo, il 32% segnala i pesanti effetti sul lavoro e sulla carriera, e il 42% di questi le assenze 'obbligate', mentre il 43% confida di averne dovuto parlare al datore di lavoro.

Tra preoccupazione, speranza e senso di impotenza, in Italia la maggioranza dei pazienti si affida ai medici per informarsi (71%), il 36% ad altri pazienti e il 23% ad associazioni o gruppi di supporto. Il 52% è convinto di essere ben informato sulla gestione della malattia, ma il 60% crede a torto che l'assenza di dolore significhi un artrite reumatoide sotto controllo. E ancora, solo il 52% dei malati sa che il danno articolare non è reversibile. Insomma, "quanto a conoscenza c'è ancora molto da fare, e un ruolo chiave in questo caso spetta al reumatologo", sostiene Voltan. (segue)

(Adnkronos Salute) - "Anche perché il rischio in certi casi è quello di interrompere o diradare le cure, convinti che senza dolore la malattia sia comunque imbrigliata. Un errore, perché senza medicinali lei va avanti in silenzio e poi arrivano le crisi", nota Voltan. Secondo oltre metà dei pazienti italiani, convivere con l'artrite reumatoide sarebbe più facile se gli altri, soprattutto le persone care, dimostrassero maggior comprensione. Ma per 4 su 5 chi non è toccato direttamente non può sapere cosa significhi vivere con la malattia.

La buona notizia è che ormai i malati si attrezzano e si documentano: il 69% si è informato con materiale stampato oppure online, e il 41% fa parte di associazioni di pazienti o gruppi di supporto, anche virtuali. Ma al web si preferisce lo specialista in carne e ossa.

In questo quadro non mancano i 'vuoti' di conoscenza, che è importante colmare. Come testimoniano alcuni dati: 3 intervistati su 5 sono seguiti da un reumatologo per la gestione dell'artrite reumatoide, ma solo poco più della metà va regolarmente dall'operatore sanitario. Non stupisce dunque che solo in 4 casi su 10 la sensazione è che la propria malattia sia ben gestita. Infine la prevenzione del danno articolare è un obiettivo prioritario solo per il 29% degli intervistati, una percentuale molto più bassa rispetto alla media del panel internazionale (72%)

 


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