Sicurezza ospedali, in Italia circa 100 mila incidenti all'anno
Sicurezza ospedali, in Italia circa 100 mila incidenti all'anno

Gli infermieri rappresentano la categoria professionale più a rischio. Dato emerso dall'indagine 'Osservatorio italiano 2017 sulla sicurezza di taglienti e pungenti per gli operatori sanitari' 

Punture accidentali e tagli rappresentano circa il 75% della totalità delle esposizioni a rischio biologico in ospedale. Fenomeno che registra ogni anno in Italia circa 100.000 incidenti (di cui il 35-50% non viene dichiarato) e 1.200.000 in Europa. E' quanto emerso dall'indagine 'Osservatorio italiano 2017 sulla sicurezza di taglienti e pungenti per gli operatori sanitari', presentata oggi al ministero della Salute, in occasione del sesto European Biosafety Summit. E' stato evidenziato che la categoria professionale più esposta al rischio è quella degli infermieri, che svolgono il maggior numero di procedure, dai prelievi alla somministrazione di terapie, all'assistenza in situazioni di urgenza a procedure specialistiche.

La ricerca è stata realizzata da GfK Italia e vede coinvolti 70 ospedali pubblici, 150 infermieri, 70 direttori sanitari, 70 responsabili dei servizi di Prevenzione e protezione, 15 responsabili di servizio Infermieristico tecnico e riabilitativo aziendale o direzione Infermieristica tecnica riabilitativa aziendale per analizzare sul campo il comportamento degli operatori. In assenza di interventi preventivi tecnologici o terapeutici, secondo l'Oms, nel mondo ogni anno si verificano oltre 3.000.000 di incidenti causati da strumenti pungenti o taglienti contaminati con Hiv o virus dell'epatite B e C; questi causano il 37% delle epatiti B, il 39% delle epatiti C e il 4,4% delle infezioni da Hiv contratte dagli operatori sanitari, cioè almeno 83mila infezioni ogni anno nel mondo riconducibili ad un'esposizione professionale, di tipo percutaneo, a materiali biologici infetti.

"Il 63% degli incidenti coinvolgono aghi cavi, la metà dei quali pieni di sangue, il 19% aghi pieni, il 7% bisturi. Circa il 75% delle esposizioni si verifica quindi in relazione a procedure per le quali sono disponibili dispositivi sicuri - specifica Barbara Mangiacavalli, presidente Federazione nazionale collegi infermieri (Ipasvi) - I dati hanno messo in evidenza che questo tipo di ferite coinvolge proprio gli infermieri tra il 51% e il 58% dei casi". Altra categoria molto esposta è quella dei chirurghi, con molti incidenti per la natura del loro lavoro ma pochi casi di infezione. Seguono gli anestesisti e i medici di pronto soccorso, con meno incidenti rispetto ai chirurghi ma un possibile maggiore rischio di infezione data la natura delle procedure svolte, spesso effettuate in emergenza.

Per quanto riguarda la manipolazione di aghi e taglienti i dati emersi dall'Osservatorio evidenziano alcune criticità: due infermieri su tre dichiarano di mettere in pratica almeno un comportamento che li mette a rischio di incidenti per puntura o taglio (66%); un terzo degli infermieri (32%) reincappuccia gli aghi usati, manovra esplicitamente proibita dal 1990 e ulteriormente ribadita nella nuova legislazione. Anche lo smaltimento dei dispositivi contaminati nel 40% dei casi avviene in contenitori impropri, generando anche per il personale non sanitario, come ad esempio gli addetti alle pulizie, il rischio di pungersi.

"Gli operatori sanitari purtroppo antepongono spesso la sicurezza del paziente allo loro e, per assistere nell'immediato il malato, mettono a rischio se stessi - commenta Gabriella De Carli, infettivologa dello Studio italiano rischio occupazionale da Hiv presso l'Istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani - Certamente fornire dispositivi più sicuri per le procedure a rischio e per lo smaltimento è necessario, ma non sufficiente. Occorre operare un cambiamento culturale, a partire dai direttori generali delle aziende sanitarie, che vanno coinvolti nel processo decisionale relativo all'allocazione delle risorse per la sicurezza, fino al singolo operatore, che non deve mai sottostimare i rischi".

Altro dato allarmante riguarda la scarsa informazione e formazione del personale più giovane. Fenomeno che De Carli collega al fatto che "durante la preparazione universitaria di questo argomento non si fa assolutamente cenno, molti giovani non hanno la più pallida idea di quali possano essere le conseguenze di un evento del genere perché non gli è stato spiegato". Il costo di routine per un evento di esposizione percutanea che mette l'operatore a rischio di contrarre un'infezione da Hiv, Hcv, Hbv è di oltre 850 euro, includendo i costi di reporting, test sierologici per identificare la presenza del virus e la profilassi post esposizione, senza contare l'impatto sulla vita personale e di relazione che il rischio di aver contratto un'infezione da virus determina nell'operatore.

"Ogni anno in Italia vengono spesi almeno 36 milioni di euro per far fronte alle conseguenze delle ferite accidentali da aghi cavi, cifra che potenzialmente potrebbe aumentare considerando che la metà degli incidenti non viene denunciata dagli operatori - conclude De Carli - Con l'adozione di opportuni piani di prevenzione, formazione e introduzione dei dispositivi sicuri, si potrebbero evitare fino a 53mila incidenti a rischio biologico, 550mila ore lavorative perse e 16mila giornate di malattia".

 


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