Lo ha stabilito il Tribunale di Termini Imerese. Ad ogni pazienteva data facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento, ma anche di rifiutare la terapia e decidere di interromperla
Al medico "non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell'ammalato". Lo ha stabilito il Tribunale di Termini Imerese con la sentenza numero 465 del 2018 che ribadito come "il presupposto di liceità della sua attività è sempre e comunque il consenso del paziente, che deve essere informato, ovverosia espresso a seguito di un'informazione completa". Secondo il giudice a ogni paziente deve essere data la facoltà "non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento, ma anche di rifiutare la terapia e decidere consapevolmente di interromperla".
La relazione medico-malato deve basarsi sulla "libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte". Pertanto se il consenso informato manca o è viziato e non vi è incapacità di manifestare la volontà né stato di necessità, il trattamento sanitario risulta invasivo rispetto al diritto della persona di "prescegliere se, come, dove e da chi farsi curare". Secondo gli esperti di StudioCataldi.it "per il Tribunale di Termini Imerese al paziente va riconosciuto sempre un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se la sua scelta lo esponga al rischio stesso della vita".
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