Trapianti: rene, test delle urine potrà predire rischio rigetto

Studio Usa, livelli proteina iniziano ad aumentare un mese prima 

Washington, 23 ago. (Adnkronos Salute/Xinhua) - Un test delle urine per predire il rischio di rigetto dopo un trapianto di rene. A prospettare questo nuovo strumento mini-invasivo è uno studio Usa pubblicato sull''American Journal of Transplantation'. I livelli nelle urine di una proteina chiamata CXCL9 - spiegano i ricercatori - possono essere utilizzati come 'spia' per diagnosticare, monitorare o prevedere anche un mese prima la reazione di rigetto dell'organismo contro l'organo trapiantato, vissuto come uno corpo estraneo 'nemico'.

Nonostante l'assunzione di farmaci antirigetto, il 10-15% dei pazienti sottoposti a trapianto di rene va incontro a un rigetto d'organo nel primo anno successivo all'intervento. Oggi, quando si sospetta un rigetto viene fatta una biopsia di verifica. La procedura è considerata generalmente sicura, ma è comunque una metodica invasiva associata al rischio di sanguinamento e dolore, e non sempre offre una 'fotografia' accurata dello stato di salute del rene.

Per valutare la possibilità di superare questi limiti attraverso una tecnica 'soft' come un'analisi delle urine, i ricercatori dell'Icahn School of Medicine, presso la Mount Sinai and the Case Western Reserve University, hanno raccolto periodicamente campioni di urina da 280 adulti e bambini sottoposti a trapianto di rene, per 2 anni dopo l'intervento. Dopo avere misurato i livelli urinari di molecole già note per essere associate al rigetto, gli scienziati hanno identificato la proteina CXCL9 come miglior candidato biomarker: è risultato infatti che i pazienti con bassi livelli di CXCL9, misurati 6 mesi dopo il trapianto, avevano una probabilità bassa di sviluppare un rigetto o una perdita di funzione del nuovo organo nei successivi 18 mesi. Inoltre, i livelli di CXCL9 possono essere usati per predire e monitorare un'eventuale reazione di rigetto. (segue)

(Adnkronos Salute) - Il livelli di proteina CXCL9 nelle urine iniziano ad aumentare fino a 30 giorni prima che si manifestino i segni clinici di un danno renale. Secondo gli scienziati Usa, dunque, questo potrebbe permettere ai medici di intervenire in anticipo per cercare di salvare l'organo. I livelli di CXCL9, inoltre, iniziano a scendere dopo la somministrazione del trattamento contro il rigetto, suggerendo che il test delle urine potrebbe essere usato anche per monitorare gli effetti della terapia.

"Lo sviluppo di test non invasivi per rilevare l'attivazione del sistema immunitario prima che subentri un danno renale - commenta Nancy Bridges, responsabile del National Institute of Allergy and Infectious Diseases Transplantation, e co-autrice del lavoro - potrebbe aiutarci nella gestione dei pazienti trapiantati di rene". In particolare, precisa, "l'applicazione clinica dei risultati di questo studio può contribuire ad evitare biopsie inutili e un eccesso di terapia immunosoppressiva".

 


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