Virus Zika 'nascosto' in cellule placenta, studio italiano
Virus Zika 'nascosto' in cellule placenta, studio italiano

Di una donna guarita dall’infezione dodici settimane prima del parto 

Per la prima volta il virus Zika viene trovato nelle cellule mesenchimali della placenta di una mamma, anche a distanza di molte settimane dalla scomparsa dell'infezione. E' il risultato del lavoro di un gruppo di ricercatori coordinato dall'Istituto nazionale malattie infettive (Inmi) 'Lazzaro Spallanzani' di Roma, in collaborazione con il Policlinico 'Umberto I' di Roma: il team ha individuato il virus Zika nelle cellule mesenchimali della placenta di una donna che aveva contratto il virus durante il quarto mese di gravidanza e che non aveva più mostrato tracce del virus a partire da dodici settimane prima del parto. A riportare lo studio è la rivista 'Open Forum Infectious Diseases'.

Il contagio era avvenuto durante un viaggio a Cuba tra la 15° e la 17° settimana di gravidanza. Le analisi condotte durante la gravidanza avevano mostrato la presenza del virus nel sangue per circa 10 settimane, e nessuna traccia del virus a partire dalla 26° settimana di gravidanza. Dopo il parto, avvenuto alla 38° settimana, il neonato non ha mostrato alcun segno di infezione da virus Zika, e le analisi condotte sulla placenta e sul cordone ombelicale sono risultate negative.

Dal momento che sono ancora in gran parte sconosciuti i meccanismi di trasmissione verticale del virus dalla madre al feto, i ricercatori dello Spallanzani si sono chiesti se a fare da 'serbatoio' al virus potessero essere le cellule mesenchimali della placenta, e hanno quindi isolato e amplificato in vitro le cellule mesenchimali dei tessuti della placenta (decidua, villi corionici, membrane amniocorioniche). Sorprendentemente, dalla coltura in vitro è emerso che una piccola quantità di queste cellule ospitavano virus Zika in grado di replicarsi.

Le cellule mesenchimali potrebbero quindi avere un ruolo importante nel complesso meccanismo che determina la trasmissione dell’infezione dalla madre al feto. Ma la scoperta è rilevante anche perché suscita nuovi interrogativi e rafforza la necessità che vengano individuati nuovi test diagnostici per escludere la presenza di infezioni in tessuti che con le tecniche attuali risultano negativi.

 


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