Studio Cnt, con variante genetica Covid più rischi infezione
Studio Cnt, con variante genetica Covid più rischi infezione

Nei pazienti trapiantati e immunosoppressi e in quelli in attesa di trapianto per grave insufficienza d’organo il rischio di infezione è circa 4 volte superiore rispetto al resto della popolazione. 

Scoperta una correlazione tra la presenza di una variante genetica e una maggior predisposizione sia all’infezione da Sars-CoV-2 che a una sua evoluzione clinica negativa. E' quanto ha stabilito un studio, pubblicato su 'Transplantation', realizzato dal Centro nazionale trapianti (Cnt) e dalla Rete trapianti del Servizio. Secondo lo studio poi nei pazienti trapiantati e immunosoppressi e in quelli in attesa di trapianto per grave insufficienza d’organo il rischio di infezione è circa 4 volte superiore rispetto al resto della popolazione.

Lo studio ha acquisito i dati sui pazienti positivi al coronavirus presenti al 22 marzo 2020 nel registro di sorveglianza epidemiologica del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, e li ha incrociati con i dati del Sistema informativo trapianti sul profilo genetico di ben 56.304 persone: i quasi 48mila pazienti con un trapianto d’organo funzionante realizzato in Italia dal 2002 a oggi e le oltre 8mila persone in lista d’attesa per un organo. Il match ha permesso di isolare, all’interno dell’intera popolazione italiana dei trapiantati e dei pazienti da trapiantare, 256 casi Covid-positivi e di analizzare nel dettaglio il possibile ruolo giocato nell’infezione da alcune caratteristiche del sistema immunitario come gli antigeni HLA e il gruppo sanguigno, informazioni abitualmente mappate nell’attività clinica trapiantologica.

I risultati hanno evidenziato per la prima volta che la presenza della "variante Hla-DRB1 08 nei soggetti analizzati è più frequentemente associata sia ai casi di positività, con un’incidenza all’incirca doppia, sia ai decessi per Covid-19, con una probabilità tre volte maggiore". Lo studio dunque suggerisce "come questa particolare variazione genetica, presente nel 6% della popolazione italiana e maggiormente frequente nelle regioni del Nord Italia (9%) rispetto a quelle del Sud (3%), svolgerebbe meno bene di altre varianti Hla il ruolo di attivazione del sistema immunitario nel riconoscimento del coronavirus".

Dalla ricerca arriva anche un’ulteriore conferma che i soggetti con gruppo sanguigno 'A' presentano un rischio di infezione lievemente maggiore rispetto alle persone con gruppo '0', i quali sembrano invece maggiormente protetti dal virus. Questo dato è già stato evidenziato dai risultati di altri lavori effettuati su popolazioni diverse.

"Questa ricerca può avere importanti implicazioni nell’identificazione di soggetti a maggior rischio di complicanze, perché geneticamente sono in possesso di armi immunologiche meno efficaci per difendersi dal virus - sostiene Antonio Amoroso, medico genetista dell’Università di Torino, coordinatore regionale per i trapianti del Piemonte e primo autore dello studio - Le indicazioni possono essere utili sia per il controllo della diffusione della malattia e la gestione della sua prognosi, sia per le strategie di pianificazione delle vaccinazioni, quando queste saranno disponibili”.

"Il nostro studio aggiunge un tassello significativo a quanto è stato già dimostrato circa i fattori che incidono sulla gravità delle manifestazioni cliniche del Covid-19, come età avanzata, sesso maschile e comorbilità - commenta Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti - L’enorme mole di dati analizzati, sebbene in via preliminare, rende l’ipotesi sulle varianti Hla abbastanza valida, e di questo va dato atto all’intera rete italiana dei coordinamenti, dei centri di trapianto e di tipizzazione Hla, che ha permesso con il proprio lavoro il raggiungimento di questo risultato e che sta offrendo, non solo in campo clinico ma anche nella ricerca scientifica, il proprio contributo alla lotta globale contro la pandemia".

 


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