Così l'Hiv si rifugia nel sistema immunitario e alimenta la malattia
Così l'Hiv si rifugia nel sistema immunitario e alimenta la malattia

Studio Tiget-San Raffaele di Milano 

Il virus dell'Aids sfrutta le difese naturali dell'uomo come 'rifugio': cambia il Dna di alcune cellule del sistema immunitario in modo tale da favorire la proliferazione dei linfociti malati a discapito di quelli sani, e alimentare così l'infezione. Lo hanno svelato scienziati dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) e dell'Irccs ospedale San Raffaele di Milano, autori di uno studio pubblicato su 'Nature Communications'. Il lavoro - finanziato da Fondazione Telethon, ministero della Salute e Bill and Melinda Gates Foundation - spiega dunque una strategia con cui l'Hiv riesce a persistere nell'organismo ospite, indicando nuovi possibili bersagli terapeutici.

Lo studio è firmato da ricercatori dell'Unità di biosicurezza della terapia genica e mutagenesi inserzionale del Sr-Tiget, in collaborazione con colleghi delle Unità di immunopatogenesi dell'Aids e di malattie infettive del San Raffaele, Gruppo ospedaliero San Donato. Il team ha scoperto che il virus Hiv, quando infetta le cellule T regolatorie (un sottotipo di cellule del sistema immunitario), spesso integra il suo genoma accanto ai 2 geni Stat5b e Bach2, cruciali nella sopravvivenza e nella proliferazione delle cellule T, e li attiva. In questo modo le cellule infette si riproducono più velocemente delle altre e persistono più a lungo nell'organismo, andando a costituire un vero e proprio serbatoio virale.

Questo meccanismo funziona come uno 'scudo' dietro al quale l'Hiv può difendersi. Tra le funzioni delle cellule T regolatorie - sottolineano infatti gli autori - c'è la modulazione della risposta immunitaria, nel senso che sono questi linfociti a 'spegnere' le difese naturali quando è necessario. Il fatto che l'Hiv ne influenzi la sopravvivenza e la proliferazione potrebbe quindi implicare un ruolo di queste cellule nel proteggere il virus, contenendo l'attacco di altri linfociti perché di fatto le cellule malate diventano più numerose di quelle sane.

Il virus Hiv - ricordano gli esperti - una volta entrato nell'organismo attacca alcune cellule del sistema immunitario, vi integra il suo genoma e le utilizza per riprodursi e diffondersi. Attualmente non è possibile eradicare il virus, ma si può solo controllarne la proliferazione grazie a una combinazione di farmaci specifici da assumere per tutta la vita: la terapia antiretrovirale. Se il trattamento viene interrotto, il virus può riemergere e l'infezione ricomparire.

"Hiv è un nostro 'sorvegliato speciale' - evidenziano Eugenio Montini, capo dell'Unità di biosicurezza della terapia genica e mutagenesi inserzionale del Sr-Tiget, e Daniela Cesana, ricercatrice della stessa Unità e prima autrice dello studio - perché proprio questo virus, modificato geneticamente e reso innocuo in laboratorio da Luigi Naldini, direttore del Sr-Tiget, è il vettore che utilizziamo per correggere i geni difettosi alla base di alcune malattie genetiche. Le nostre competenze nel campo della biologia molecolare hanno contribuito ad aggiungere un ulteriore tassello nella comprensione delle modalità con cui Hiv agisce per proteggersi e persistere nell'organismo".

"Questa scoperta, frutto della preziosa collaborazione tra clinici e ricercatori - commenta Giuseppe Tambussi, infettivologo dell'Irccs ospedale San Raffaele - potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuove metodiche molecolari che chiariscano come viene creato e mantenuto il serbatoio virale di Hiv, e ad approcci che blocchino l'attività dei geni alterati nelle cellule T regolatorie. La speranza è di ottenere in futuro l'eradicazione dell'infezione da Hiv, che nel 2015 ha colpito più di 3.400 persone solo in Italia".

 


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