Salute: malati Crohn e colite 'attratti' da cure alternative ma occhio a rischi

Si puo' mettere a repentaglio riuscita della terapia standard 

Barcellona, 16 feb. (Adnkronos Salute) - Omeopatia, agopuntura, persino aloe vera. Nel tentativo di uscire dal tunnel delle malattie infiammatorie croniche dell'intestino, il 23% dei malati ha provato almeno una volta nella vita un rimedio alternativo. E l'11% di essi ha abbandonato le terapie tradizionali, riponendo totale fiducia nella cura non convenzionale, e mettendo in questo modo a rischio la possibilità di guarigione. E' quanto evidenzia uno studio spagnolo presentato oggi a Barcellona, tramite poster, in occasione del congresso della European Crohn's and Colitis Organization (Ecco).

L'indagine ha coinvolto 705 pazienti con malattia di Crohn, colite ulcerosa o di altro tipo. Gli studiosi dell'Ospedale universitario di Santiago de Compostela li hanno intervistati per indagare, come mai era stato fatto prima, su quanto l'utilizzo di medicine alternative fosse diffuso. L'omeopatia è risultata al primo posto delle preferenze, dunque, seguita da agopuntura, kefir (bevanda fermentata a base di latte) e aloe vera. Il 74% dei malati confessa di non aver giovato di miglioramenti dopo questi tentativi.

E' la lunga durata della malattia e la prospettiva di non uscirne a spingere i pazienti a provare metodi alternativi e anche in Italia "alcuni sono spinti da questo desiderio comprensibile - spiega Salvo Leone, direttore di Amici onlus (Associazione per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino) - ma dobbiamo dire che le terapie alternative non possono assolutamente sostituire quelle tradizionali, possono semmai essere un'integrazione, ma non si devono abbandonare le cure standard. Le terapie ci sono e funzionano e in caso contrario bisogna consultare il medico". Sempre nel nostro Paese, risulta che "il 53% dei pazienti esce dalla visita con lo specialista convinto di non aver detto qualcosa di importante. Al 25% capita qualche volta, al 28% di frequente. I tempi stretti della visita e i problemi di comunicazione legati alla natura di queste malattia portano spesso a non fare le domande che si volevano fare". Ma questo non giustifica il fatto di fare di testa propria.

 


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