Salutequità, 'allarme carenza cronica personale, -20% per Covid'
Salutequità, 'allarme carenza cronica personale, -20% per Covid'

A pesare sono anche le basse retribuzioni, in 10 anni persi quasi 3mila euro 

L’impennata di contagi nella pandemia legata alla variante Omicron, ha evidenziato in modo allarmante un problema già noto da anni, ma che le politiche di tagli portate avanti fino a poco tempo fa hanno del tutto ignorato: le strutture ci sono, manca il personale. Mancano i professionisti della sanità, medici e infermieri in testa, ma anche tutti gli altri della filiera dell’assistenza. Alla carenza cronica di operatori si aggiunge, infatti, una riduzione di almeno il 20% di personale, costretto a fermarsi per le quarantene e sul territorio va anche molto peggio. E' la denuncia di Salutequità.

L'associazione impegnata nell’analisi dell’andamento e dell’attuazione delle politiche sanitarie e sociali, ricorda l'ultimo report della Commissione Ue che, sulla situazione italiana, scrive: “Se gli attuali criteri di accesso alla formazione specialistica dovessero rimanere invariati, con l’aumentare dell’età media dei medici italiani negli anni a venire si prevede una carenza significativa di personale, soprattutto in alcune discipline di specializzazione e in medicina generale. L’Italia impiega meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e il loro numero (6,2 per 1 000 abitanti) è inferiore del 25 % alla media Ue. Vista la diminuzione del numero di infermieri laureati dal 2014, le carenze di personale in questo settore sono destinate ad aggravarsi in futuro”.

E ancora: l’allarme lanciato dai sindacati medici sul futuro degli organici nella professione - ricorda Salutequità in una nota - è che a breve, tra pochi anni, mancheranno all’appello circa 25mila camici bianchi, soprattutto specialisti e medici di medicina generale che diminuiscono al ritmo di oltre 6mila l’anno per l’insufficiente ricambio (il turn over, bloccato dall’assenza di programmazione e contratti soprattutto nelle Regioni in piano di rientro e quindi devastando soprattutto gli organici del Sud del Paese con un consistente aumento di diseguaglianze) e l’assenza di standard che ne indichino la necessaria consistenza numerica.

Anche la carenza degli infermieri è molto pesante - denuncia l'associazione - con le stime della Federazione degli Ordini che parlano di carenze pari a 63mila unità, ma i calcoli ad esempio dell’Università Bocconi superano le 101mila e quelli di Agenas parlano di una carenza di non meno di 80mila professionisti. E questo soprattutto sul territorio dove il fabbisogno dei soli infermieri di famiglia e comunità, necessari non solo per Covid, ma anche per l’assistenza non Covid, è stato quantificato per rispondere alle esigenze del Pnrr in almeno 20-30mila unità, mentre da decreto Rilancio del maggio 2020 che ne ha previsti e finanziati per legge 9.600, finora se ne sono 'trovati' non più di 3mila.

“Tutto questo ha e continuerà ad avere un peso anche sul blocco delle cure “programmabili” che stiamo vivendo in queste settimane e che ciclicamente ormai da 2 anni purtroppo si ripresenta, ostacolando il diritto all’accesso al Ssn da parte dei pazienti non Covid, a partire da quelli con malattie croniche e rare", afferma Tonino Aceti, presidente di Salutequità. " Su questo è urgente invertire la rotta e cambiare passo, ora”, ammonisce.

A pesare ulteriormente - prosegue la nota - ci sono anche le criticità legate alle condizioni di lavoro attuali dei professionisti della sanità. Tra gli operatori sanitari dipendenti del Ssn, il mancato rinnovo dei contratti durato 10 anni (di fatto quasi tre contratti 'saltati' per contenere la spesa), ha portato nelle buste paga solo la ‘vacanza contrattuale’, l’indennità che spetta a chi lavora se un contratto non è rinnovato. Anche con l’ultimo contratto 2016-2018 si è giunti – in 10 anni appunto - ad aumenti rispetto al 2009 (anno dell’ultimo contratto prima dello stop di dieci anni) che vanno da una media su 13 mensilità di 6.601 euro lordi (4.291 netti circa) per i medici a 2.364 circa lordi (1.536,5 netti) del personale del comparto con funzioni riabilitative (gli infermieri, i più numerosi, sono a quota 2.600 lordi e 1.690 netti, sempre su 13 mensilità).

Non solo. Applicando gli indici di parità di potere di acquisto al valore del 2009 e sottraendo l’importo ottenuto da quello complessivo 2019 come indicato dal Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato - prosegue Salutequità - si vede che in realtà la differenza 2019-2009 resta positiva per la dirigenza sanitaria e va in rosso per il comparto (il personale non dirigente) con un massimo di circa -2.850 euro per il personale del ruolo tecnico sanitario e un minimo, sempre in media, di -2.165 circa per il personale infermieristico. Una riduzione non compensata dalle indennità previste dalle leggi di Bilancio, che, una volta che saranno erogate, valgono 1.249 euro lordi l’anno per gli infermieri e 843 euro lordi l’anno per le altre professioni sanitarie a cui si aggiungono gli assistenti sociali e gli operatori sociosanitari.

“Continuare a rafforzare l’organico del Ssn è fondamentale, come pure riconoscere con i fatti il giusto valore del personale, che in questi mesi ha dedicato la vita per curare e assistere ogni persona del nostro Paese", continua Aceti. "Servono condizioni lavorative e retribuzioni all’altezza del loro livello di responsabilità, professionalità e dell’importante livello di fiducia che la popolazione ripone nei loro confronti".

Sul Pronto Soccorso poi, l’allarme, oltre quello della valorizzazione (anche economica) delle competenze è più forte dal punto di vista degli organici. La desertificazione degli organici medici e infermieristici nel sistema dell’emergenza, pronto soccorso e 118, è un fenomeno allarmante: “I dati del Centro Sudi nazionale della Società italiana di Medicina di emergenza urgenza (Simeu) - dice Maria Pia Ruggieri, past presidente Simeu e componente del direttivo Salutequità – evidenziano la carenza attuale di 4mila medici e 10mila infermieri rispetto alle necessità. I concorsi per medici di Pronto soccorso e 118 sono andati deserti in tutte le Regioni. Il 50% delle borse di studio della specialità di Medicina di Emergenza Urgenza non sono state assegnate nell’anno accademico 2021/22 per disinteresse dei neolaureati. Il 18% degli studenti nell’anno accademico 2020/21 ha abbandonato il corso di studi. Eppure - conclude - prima della pandemia si calcolavano circa 24 milioni di ingressi al Pronto soccorso all’anno (1/3 dell’intera popolazione italiana), ossia un’emergenza ogni 90 secondi, dati che negli ultimi due anni sono cresciuti in modo esponenziale rischiando, in queste condizioni, di non riuscire a garantire la tutela della salute ai cittadini”, denuncia.

 


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